RELIGIONI NEL MONDO
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RELIGIONI NEL MONDO - PRIMA INFORMAZIONE
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IL DIALOGO FRA LE RELIGIONI

La parola “dialogo” è oggi inflazionata, a tal punto da essere divenuta equivoca, perché usata con significati diversi. Si potrebbe dire che è la parola che ha caratterizzato la seconda metà del Novecento, come la parola “libertà” aveva contrassegnato l’Ottocento. Paolo VI, introducendola nella Chiesa con la sua prima enciclica Ecclesiam suam, aveva messo in guardia dal relativismo e dal sincretismo, dicendo che il dialogo è la continuazione dell’opera di Dio che aveva stabilito con l’uomo un rapporto di alleanza gratuita, rispettosa della libertà umana, per suscitare una risposta convinta e responsabile.
Come mai si è avuto questo cambiamento di prospettiva in tempi recenti? Qual è stato il fatto più significativo a tale riguardo? Non possiamo non riferirci a tale proposito alla Dichiarazione univer-sale dei diritti umani (1948), che, nata per comune volontà delle nazioni uscite da una guerra atroce, ha stabilito una base nuova di convivenza umana, basata non su principi astratti ma sulla dignità di ogni persona. Il nuovo modo di pensare non era irrispettoso della verità e dei valori: si riteneva in-vece che questi dovevano affermarsi per forza propria e di conseguenza ogni uomo doveva essere rispettato nella ricerca e nella maturazione nei confronti della verità. Il principio nuovo distingueva così l’ordine dei diritti, relativo ai rapporti fra gli uomini, e l’ordine dei valori, al quale ogni uomo era tenuto moralmente a tendere nella libertà da ogni coercizione.
Il dialogo fra le religioni ebbe grande impulso dal Concilio Vaticano secondo che con la dichiarazione “Nostra Aetate”, parlò della presenza in tutte le religioni di “raggi di quella verità che illumina tutti gli uomini” e indicò il confronto fra le religioni uno strumento indispensabile di crescita per ogni religione. Pietro Rossano, parlando di esso, così lo definisce: “Una relazione interpersonale che avviene nel rispetto dell’alterità dell’interlocutore, sulla base di una comunione già esistente, in vista di un avvicinamento e di una unione più profonda, per un giovamento reciproco”. Nella definizione si escludono la polemica intollerante e l’eccessiva sicurezza di sé e si sottolineano gli atteggiamenti sottesi al dialogo di simpatia per l’interlocutore e di ricerca comune della verità e del bene. Il dialogo interreligioso nasce così da un lato dalla stima reciproca e dall’altro dall’amore nei confronti della verità, che si ritiene trascenda gli interlocutori stessi. Non c’è niente in esso invece di ciò che appartiene al potere, al convenzionale e alla stru-mentalizzazione. Si tratta di un atto religioso permeato di ascolto e di invocazione.
Vediamo le principali iniziative che si sono sviluppate in questi anni, con un’attenzione a quelle che hanno assunto un carattere continuativo.
  • Esperienze di dialogo interreligioso
    Ripercorrendo la storia si può rilevare come le religioni abbiano sempre avuto contatti fra loro, anche se non in termini di dialogo. Spesso sono prevalsi atteggiamenti di rifiuto vicendevole, o di tolleranza, o di assorbimento. Il dialogo ha avuto periodi rari e brevi, quasi oasi di pace fra uno scontro e un altro.
    Ricordiamo il dialogo a Cordova all’inizio del secolo XIII dei cristiani con i musulmani e gli ebrei; con l’Induismo e il Confucianesimo attraverso i gesuiti Matteo Ricci, De Nobilis e Valignano (seco-li XVI e XVII). Il Cristianesimo primitivo si era presentato all’insegna del dialogo: Giustino nel suo Dialogo con l’ebreo Trifone afferma che è necessario simpatizzare e conversare “perché ne venga qualcosa di buono da tale incontro, o per lui o per me: è utile infatti per tutti e due, anche se uno so-lo ne trae vantaggio”. Nel 1453 il card. Nicolò Cusano nel De pace fidei immagina “un incontro e un dialogo nel cielo, dove Gesù Cristo avrebbe convocato i rappresentanti di tutte le religioni allora conosciute (...) al fine di confrontarli e assommarli in vista del consolidamento della pace e dell’armonia tra i popoli”.
    Il dialogo però più frequentemente è stato abbandonato e sono prevalse sopraffazioni e violenze. Il medioevo fu sordo alle esigenze soggettive e l’illuminismo non seppe valorizzare le culture religio-se, ritenute inficiate di magia. Anche in teologia prevalsero l’apologetica e la confutazione dell’avversario all’ascolto reciproco.
    Un clima culturale diverso cominciò ad affermarsi nel secolo scorso, come abbiamo notato, a partire dal “Parlamento delle religioni” di Chicago (1893), quando le religioni cominciarono ad incontrarsi nella libertà.

    • Dal “Parlamento delle religioni” di Chicago (1893) al “Tempio della comprensione” (1960).
      In occasione del IV centenario della scoperta del Nuovo Mondo, la Chiesa presbiteriana e la Chiesa cattolica degli Stati Uniti indissero un “Parlamento delle religioni” a Chicago dall’11 al 27 settembre 1893, con lo scopo di suscitare un pacifico scambio di idee e dare al mondo una lezione di tolleranza religiosa. L’iniziativa riuscì e vide fra gli ottomila partecipanti la presenza di sedici religioni. Fra le finalità dell’incontro ci fu però anche la preoccupazione generale di evidenziare il patrimonio religioso dell’umanità, mostrando come l’irreligiosità e il materialismo fossero contrari alle idee fondamentali dell’uomo. Fu forse per questo secondo scopo che l’iniziativa, ripresa a Parigi nel 1900, fallì come dialogo interreligioso e si trasformò in un congresso internazionale di storia delle religioni. Nel nostro secolo crebbe l’interesse per le religioni, anche se con alterne vicende. Si svilupparono due linee tendenziali: alcuni ricercarono una identità comune, un denominatore che consentisse di superare le diversità in una sintesi più alta (esempio: teosofia, fede Baha’i, religione Cao-Dai); altri affermarono il dovere di riconoscere nelle religioni specificità particolari e valori diversi da accettare. La prevalenza della prima linea appare chiaramente in alcune manifestazioni della prima metà del secolo XX (155): il “Congresso mondiale per un Cristianesimo libero e per il progresso religioso” (Berlino 1910), l’“Alleanza religiosa dell’umanità” promossa da Rudolf Otto (Wilhelmshagen 1922), l’“International Religions Peace Conference” (1929), l’“Armonia mondiale delle religioni” promossa da Hussein Kazemzadeb Iranschar (Winterthur 1949). Nella seconda metà del secolo invece, cominciò ad affermarsi la seconda linea. Di essa ricordiamo alcune tappe importanti. Nel 1960 a Washington si fondò il “Tempio della comprensione”, con lo scopo di portare l’umanità ad una conoscenza generale delle grandi religioni del mondo, per una comprensione reciproca e per una collaborazione a fini comuni. Contemporaneamente sorsero altri istituti, allo scopo di arrivare a un Congresso mondiale delle religioni. Il tempio della comprensione servì allo scopo da coagulo e da orientamento. Tappa significativa fu il Congresso delle religioni di Ceylon (1963), nel quale si incontrarono quattro religioni (Induismo, Buddhismo, Cristianesimo e Islam) e si decise di moltiplicare nel mondo i templi della comprensione, per incrementare la tolleranza e l’amicizia fra le religioni. Ciò però che più incise nello sviluppo di queste iniziative fu la preparazione della prima Conferenza spirituale interreligiosa, che si tenne a Calcutta nel 1968. Le varie confessioni cristiane cominciarono ad incontrarsi a questo scopo: a Kandy (Ceylon) nel febbraio-marzo 1967 per affermare la comune fede nella volontà salvifica universale di Dio e la necessità di un ascolto e dialogo con le religioni; a Beirut nell’aprile 1968 per concludere con la necessità di un ecumenismo esteso alle religioni; a Lambeth nel luglio-agosto 1968 per parlare della possibile cooperazione per la pace. Si arrivò così alla prima Conferenza spirituale delle religioni, svoltasi a Calcutta dal 22 al 26 ottobre 1968, alla quale parteciparono undici religioni (Baha’i, Buddhismo, Cristianesimo, Induismo, Islam, Giainismo, Giudaismo, Confucianesimo, Sikhismo, Shintoismo, Zoroastrismo). Fu la prima volta, scrive Peter Meinhold, che il dialogo fra le religioni del mondo “fu condotto su singole pre-sentazioni delle religioni, della loro propria attività ed efficacia in rapporto ai problemi del mondo moderno”. Si ebbe al termine della Conferenza una dichiarazione comune, nella quale si affermava che la scienza, la tecnica e la politica non sono riuscite a costruire il mondo desiderato e che le religioni dovevano insieme porsi il problema della “fondazione di una società mondiale religiosa forte ed unanime”. Contatti particolari dopo Kandy i cristiani intrapresero anche con le religioni aborigene, sconvolte in Africa dalla civilizzazione moderna, dalla tecnica e dalle missioni. Tutto questo movimento ricevette però grande impulso soprattutto dal Concilio Vaticano II.


    • Il Concilio Vaticano II.
      Al Concilio Vaticano II è riconosciuto, anche da molti non cristiani, il merito di aver posto le basi del dialogo interreligioso, soprattutto con le dichiarazioni relative alla libertà religiosa (Dignitatis humanae) e al dialogo con le religioni non cristiane (Nostra aetate). Il fatto di aver dichiarato il diritto e dovere di ogni uomo di vivere secondo la propria coscienza e di aver aperto una via di comunicazione con tutte le religioni, è senza dubbio di grande importanza per la convivenza umana. Il Concilio Vaticano II, in particolare con la dichiarazione Nostra aetate, indicò le ragioni profonde del dialogo, riconoscendo che le religioni “non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini”, elencò le linee orientative per il confronto-dialogo con le singole principali religioni; presentò il dialogo interreligioso come l’atteggiamento conseguente, invitando i cristiani a riconoscere, conservare e far progredire i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali che si trovano in esse; indicò tale dialogo come presupposto alla pace nel mondo. A questi risultati si arrivò anche per la presenza al Concilio di osservatori di altre religioni e per la costituzione del Segretariato per le religioni non cristiane (1964), voluto da Paolo VI, per promuovere in concreto le relazioni interreligiose. Sono da ricordare inoltre alcuni discorsi di Paolo VI in quegli anni, i quali finirono per dare una impronta decisiva al dialogo. Ricordiamo fra questi ultimi quello di Bombay, in occasione del 38° Congresso eucaristico (1964), nel quale il Papa af-fermò: “La razza umana sta subendo profondi mutamenti e sta brancolando tra i principi che ora la guidano e le nuove forze che la condurranno nel mondo futuro. Anche il vostro Paese è entrato in una fase nuova della sua storia e in tale periodo di transizione, anche voi sentite l’insicurezza di questa nostra età (...). Dobbiamo perciò unirci con i cuori, in mutua comprensione, stima e amore”. E qualche anno dopo a Manila (1970), in un discorso memorabile ai popoli dell’Asia tramite Radio Veritas, affermava: “Contemplando il passato delle vostre nazioni, fratelli, noi siamo soprattutto impressionati dal senso dei valori spirituali, che domina il pensiero dei vostri saggi e la vita delle vostre genti. Non lasciatevi soggiogare dalla tecnica, non indulgete al materialismo e all’ateismo”. Il dialogo così, avviato non più su equivoci relativistici o sincretistici, recuperò accanto alla libertà religiosa e la necessità di sviluppare le rispettive identità religiose e di aprirle fra loro nel dialogo.


    • Il dialogo per la pace.
      Negli anni successivi il dialogo prese corpo in due direzioni, quella della collaborazione fra le religioni per un servizio religioso al mondo e in particolare alla pace e quella più teologica della preghiera e della riflessione. Nella prima direzione si affermarono le Conferenze mondiali delle religioni per la pace. Accanto a questa istituzione, forse la più estesa e continuativa di dialogo interreligioso, si ebbe in quegli anni una fioritura di incontri, soprattutto in Asia, nei quali si maturarono precisi orientamenti tematici, atti a ridestare nel mondo una attenzione ai valori dello spirito. Le Conferenze mondiali delle religioni per la pace nacquero dopo un decennio di preparazione con incontri a Tokyo (1959; 1964) e a New Delhi (1968). Si costituirono come strumento libero da strumentalizzazioni politiche e governative, formato da credenti, per trarre dal patrimonio delle religioni energie per la pace. Le assemblee si tennero a scadenza quinquennale: Kyoto (1970), Lovanio (1974), Princeton (1979), Nairobi (1984), Melbourne (1989), Riva del Garda (1994), Amman (1999), Kyoto (2006). La partecipazione ad esse di 500/1.000 persone di varie religioni e nazionalità diede alle conferenze particolare risalto. Nei documenti finali appare costante l’autocritica delle religioni stesse di fronte ai problemi dei diritti umani, della pace, dello sviluppo e dell’ecologia ed insieme l’impegno a collaborare per la liberazione del mondo dall’ingiustizia e dalla malvagità umana. In queste conclusioni si parla del dovere di educare i credenti alla responsabilità, si indica il dovere di risvegliare le coscienze e di denunciare il male, si invita alla collaborazione e alla speranza.


    • Il dialogo della preghiera.
      Non meno rilievo in questi anni assunsero nel dialogo interreligioso gli incontri di preghiera, i quali finirono per stimolare un confronto teologico fra le religioni. È signifi-cativa l’affermazione di Giovanni Paolo II a proposito dell’incontro di preghiera per la pace di Assisi (1986): “Eravamo insieme per pregare, ma non per pregare insieme”. Il primo incontro di pre-ghiera fu promosso nel 1970 dal Consiglio ecumenico delle Chiese ad Ajaltoun vicino a Beirut, sul tema “Il dialogo tra credenti del nostro tempo”. Stanley J. Samartha scelse per l’incontro un hotel cir-condato da una serie di bungalow, affinché i monaci indù e buddhisti non si trovassero a disagio. Parteciparono 38 persone di 17 Paesi (3 indù, 3 buddhisti, 3 musulmani, 6 cattolici, 22 protestanti ed ortodossi). Il colloquio si svolse in clima di grande fraternità e preghiera. Si è trattato di un incontro informale, perché nessun teologo presente rappresentava ufficialmente la sua Chiesa o la sua religione. Alla fine, invece di stilare documenti, si pregò un rappresentante di ciascuna delle religioni presenti di mettere per iscritto le proprie impressioni, e tali testi vennero pubblicati come “memorandum” conclusivo. Alla base del colloquio ci fu la convinzione unanime che una piena e leale adesione alla propria fede non impedisce il dialogo. Questo colloquio è particolarmente impor-tante perché segna anche la nascita del “Segretariato per il dialogo con le fedi vive e le ideologie” del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec) e dà l’avvio a una serie di incontri interreligiosi: dal 1970 al 1973 furono organizzati ben tredici incontri dal Cec, nonostante le critiche di molti circoli protestanti, che finirono per bloccare l’attività di S.J. Samartha. Nonostante le difficoltà, le esperienze di convivenza di preghiera continuarono, aprendo spazi di comprensione e di ricerca comune di spiritua-lità. Singolare per finalità e per risonanza fu l’incontro di Assisi di preghiera per la pace, promosso da Giovanni Paolo II il 27 ottobre 1986, al quale parteciparono dodici religioni, in concomitanza dell’anno internazionale della pace indetto dalle Nazioni Unite. Si ebbe in quel giorno la “tregua di Dio” da ogni ostilità nel mondo, chiesta per ventiquattro ore. L’incontro ebbe un carattere eminentemente religioso di preghiera, pellegrinaggio e digiuno. “Ciascun partecipante ha accolto l’invito - osserva Julien Ries - in piena libertà, e tale libertà ha conservato partecipandovi: nella scelta del rituale, nella separazione e autonomia delle cerimonie, nella libertà delle formule di preghiera”. L’incontro di Assisi del 1986 divenne paradigmatico e finì per creare quello “spirito di Assisi”, che determinò successivi incontri. Ricordiamo fra questi quello “Alle soglie del terzo millennio”, svoltosi a Roma nell’ottobre del 1999 e l’“Impegno per la pace”, che ha visto riunite ancora una volta le religioni ad Assisi nel gennaio 2002. Nel secondo, cioè quello 2002, si sono alternati momenti pubblici di testimonianza comune di pace e momenti di preghiera distinti in luoghi diversi. Alla fine le religioni hanno consegnato al mondo un impegno per la pace in dieci punti.


    • Verso un’etica comune.
      Abbiamo già accennato al “Parlamento delle religioni di Chicago” (1893), che aprì in qualche modo il dialogo fra le religioni, con l’intento di individuare le linee convergenti presenti in esse. Nel centenario di tale avvenimento si promosse sempre a Chicago una iniziativa analoga alla prima sul tema “Verso un’etica mondiale”, alla quale parteciparono 125 confessioni o religioni, da quelle tradizionali a quelle cosiddette “neo-pagane”. Il testo del documento redatto dal teologo cattolico Hans Küng, integrato dai commenti inviati da circa 200 responsabili religiosi, non poté essere discusso in assemblea. Costituisce pertanto la prima tappa di un processo intrapreso.


    • Problemi aperti.
      Nella rapida carrellata fatta su un divenire complesso e multiforme, abbiamo consapevolezza di aver elencato alcuni fatti soltanto e di essere caduti in generalizzazioni indebite, senza aver posta sufficiente attenzione che ogni religione ha la sua storia, nella quale ha assimilato molti elementi nuovi, a sé estranei e a volte contraddittori. Il cammino positivo sottolineato è un filo rosso sottile che attraversa la vita delle religioni, ancora attardate in rivalità, contrapposizioni e accuse reciproche, per un passato da superare e per un presente da chiarire. Nel dialogo multilaterale di Colombo (Sri Lanka) del 1974 si affermò: “Ci accorgemmo di punti di vista del tutto opposti nel modo di considerare la storia, o lineare, o ciclica (...); nel modo di interpretare la situazione storica che stiamo vivendo; nel desiderio o nella diffidenza a concettualizzare il fine ultimo; nella nostra confidenza o nel nostro scetticismo riguardo all’uso dei simboli o al posto delle devozioni”. D’altra parte non servirebbe a nessuno cercare un sincretismo e un miscuglio acritico delle religioni. Ecco perché in questi anni di esperienze è emersa come unica via il dialogo interreligioso, da sviluppare accanto alla missione, alla pastorale e all’ecumenismo. “Non si tratta affatto di un semplice cambiamento tattico, di un tentativo di entrare in casa per la porta di servizio. Il dialogo risponde alla nuova convinzione, che cioè ciascuno di noi deve accettare e prendere sul serio l’altro nella sua dignità e libertà, nella sua singolarità non interscambiabile, e quindi anche nella sua diversità, come immagine viva di Dio. (...) Oggi nel dialogo cerchiamo di incontrarci come gruppi, di scoprirci, di ammirare le ricchezze altrui, di imparare gli uni dagli altri, anche di criticarci fraternamente”.
(G. Dal Ferro)