PROTESTANTESIMO
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PROTESTANTESIMO - PRIMA INFORMAZIONE
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GIOVANNI CALVINO A GINEVRA

La Riforma protestante in Svizzera è legata al nome di Giovanni Calvino (1509-1564), il più sistematico dei riformatori, il quale con la sua opera Istitutio christianae religionis diviene punto di riferimento per il Protestantesimo. Egli aderì alla Riforma, in circostanze non ancora chiare, tra i 1533 e il 1534 e si mise prontamente a servizio della comunità riformata di Francia, osteggiata dall’allora re Francesco I.
  • Cenni sulla vita
    Il suo nome è Jean Cauvin, essendo nato in Francia a Noyon da un notaio. Di formazione umanista, si laureò in giurisprudenza a Parigi, dove ebbe compagno di corso Ignazio di Loyola. Frequentò gli ambienti del rinnovamento di Nicola Cop, di cui subì l’ostracismo da Parigi. Alla fine del 1534 lascia Parigi in tumulto e si reca a Basilea e poi a Strasburgo, passando per Ferrara (1536). A Ginevra è trattenuto nel 1534 dal riformatore Guglielmo Farel, il quale lo minacciò perché voleva andarsene: “Dio ti maledirà poiché tu cerchi te stesso anziché Cristo”. Qui divenne lettore della Scrittura nella Cattedrale per incarico del Consiglio, ma non molto tempo dopo lascia la città con G. Farel per contrasti G. Calvino trascorre tre anni a Strasburgo dove, pastore di 400 esuli francesi (ecclesiola gallicana), collabora ed insegna all’Accademia con Martin Bucero. Sono questi anni preziosi per lui, perché può capire le esigenze di una comunità riformata (liturgia, canto, insegnamento, organizzazione) e pubblicare la prima edizione di soli sei capitoli della Istituzione della religione cristiana con una lettera a Francesco I in difesa degli evangelici. A Strasburgo sposa Idelette de Bare (1540), vedova di un anabattista, la quale morirà nove anni dopo. Nel 1541 fu richiamato a Ginevra in seguito alle elezioni avvenute in città, dove attuò pienamente la sua Riforma. Durante gli anni di Calvino, Ginevra si trasformò in una cittadella della Riforma e da città ricca di traffici, gaia e spensierata, “latina nella festosità dei costumi e nordica nel godimento della vita”, diviene “città triste, senza vita, priva di teatri e di osterie”. Nonostante i contrasti, Calvino però nelle elezioni del 1555 ottenne grandi consensi. Gli ultimi anni della sua vita sono segnati da profonda sofferenza fisica. Dal suo letto confessa di essere sempre stato guidato dal timor di Dio e chiede perdono del male compiuto. Richiede per sé una sepoltura anonima e muore nel 1564, dicendo che la gloria appartiene solo a Dio.


  • Personalità del riformatore
    Giorgio Tourn fa notare la difficoltà di conoscere a fondo G. Calvino, dato che non parla di sé. Di natura riservata e schiva, nella prefazione ai Salmi si definisce “uomo timoroso e selvatico, amante della quiete e dell’isolamento”. È un riformatore di seconda generazione, al di fuori delle controversie di Lutero, in grado di fare sintesi dei contributi precedenti, con chiarezza logica. Egli della Riforma coglie il centro del problema, lo tratteggia, risponde alle obiezione e conclude. Di lui A. Franklin scrive: “Il gran fantasma, dal volto glaciale, che cupo, rigido, frettoloso, dominato da una sola idea attraversa la storia con tanta rapidità e vi lascia una impronta così profonda attira, in modo irresistibile gli sguardi ma non ispira simpatia, al suo ascendente si resiste perché non è in grado di soddisfare l’intelletto e non c’è in lui nulla che parli al cuore”.
    Calvino divenne riformatore suo malgrado, avendo preferito forse per sé di fiancheggiare la Riforma con gli scritti. Considerò, scrive Paolo Ricca, il suo ufficio un dovere religioso da vivere con riverenza e coscienza, come una vocazione. Lontano dall’irruente ed estroversa personalità di Martin Lutero, Giorgio Tourn lo definisce avversario dei luterani e degli umanisti per gli strumenti di indagine usati, preoccupato essenzialmente di costituire una comunità di credenti impegnati, alla ricerca di una santità totale. In lui c’è un’unità fra l’essere e il fare, per cui diviene il riformatore più organico del Protestantesimo.


  • Il “riformatore” di Ginevra
    Ritornato a Ginevra, non è più un giovane irruente, ma un pastore d’anime, incaricato dal Consiglio della città di organizzare la vita ecclesiale. Con le Ordonnances ecclésiastiques del 1541 egli ridisegna la comunità cristiana senza la figura del vescovo, retta collegialmente da quattro ministri (pastore, dottore, anziano e diacono), coordinati tra loro ma nessuno subordinato agli altri. I “pastori” avevano il compito di predicare e di amministrare i sacramenti; i “dottori” di insegnare nelle scuole; gli “anziani” di vigilare sulla vita della comunità, esercitandovi la disciplina; i “diaconi” di amministrare i beni e curarsi dei poveri.
    Si noti che la città attraversava un momento di crisi, in pericolo di cadere nell’orbita francese. Era una città ricca di fermenti, centro commerciale europeo, con una classe mercantile e capitalista di prima grandezza. Si trova fra la Savoia e la Francia cattoliche e Berna e Zurigo protestanti. Calvino sa raccogliere tali fermenti e risponde con una riforma organica e strutturata della Chiesa, dando alla città una dimensione internazionale con interventi anche di tipo socio-economico, collaborando all’organizzazione ospedaliera e carceraria, alla stesura di un nuovo codice penale, al riordino del diritto matrimoniale, alla fondazione dell’Accademia (1559). Egli seppe offrire così una risposta globale spirituale, politica ed economica alla città.
    Calvino istituisce il Concistoro, costituito da tutti i pastori e da dodici anziani, con mansioni disciplinari e con particolare attenzione all’ortodossia, affermando che il Corpo di Cristo non poteva essere contaminato. Dal 1547 aumenta il rigore e la linea autoritaria nella città, anche nei confronti del culto. I processi disciplinari e dottrinali si moltiplicano, fra i quali quelli contro Pietro Ameaux, Giacomo Gruet, Sebastiano Castellion, Girolamo Bolsec e Giovanni Trolliet.
    Il caso più noto è quello del rogo di Michele Serveto (Villanovanus) a Champel (1553). Serveto, vecchia conoscenza di Calvino, medico e studioso alla corte spagnola, appartiene agli antitrinitari, in quanto nelle sue opere, pubblicate sotto falso nome, affermava che la natura divina è inconoscibile e prendeva forma per mezzo della Parola (incarnata in Cristo) e dello Spirito Santo (principio di immortalità nell’uomo). Fuggiasco per le sue idee, fu arrestato a Vienna e messo nelle mani dell’Inquisizione, dalla quale riuscì ad evadere. Passando per Ginevra è individuato, imprigionato e condannato al rogo. Il procedimento scavalcò il Concistoro, essendo stato assunto direttamente dal Consiglio cittadino. Calvino, esperto in teologia, definì la sua posizione di eretico, da cui derivò la condanna. Nel 1903 Ginevra eresse un monumento riparatorio di una condanna a causa di “un errore che appartiene al suo secolo”. Giorgio Tourn parla di accanimento nei confronti di Serveto e di una certa liberazione dai fantasmi del passato, quasi catarsi dottrinale da parte della città.


  • Calvino teologo
    Calvino sviluppa la sua teologia a partire dal mondo e si colloca fra il deduttivo logico della scolastica e l’esegetico pastorale di Lutero. Appartiene al deduttivo l’idea centrale della gloria di Dio e il rinvio di tutto al Potere assoluto divino della sua sovranità illimitata, del dominio incontrastato della trascendenza (predestinazione). È esegeta quando sviluppa una teologia in situazione, cioè quando coglie la dialettica fra potenza di Dio e responsabilità dell’uomo, fra fede ed opere dove parola è Dio presente nel mondo e fede è risposta cosciente e volitiva dell’impegno storico.

    • Parola e fede.
      Per Calvino la Bibbia nella sua totalità è l’unica fonte della rivelazione divina ed è infallibile perché in essa parla lo Spirito. A differenza di Lutero essa non è solo consolazione, ma anche norma autorevole di vita e conduce a una nuova esistenza. Per Calvino al centro sta l’assoluta sovranità di Dio operante nella creazione, garante e custode nell’esistenza umana, essendo ogni creatura glorificazione di Dio. Nasce così il problema della predestinazione, data la centralità della sovranità assoluta di Dio, considerato non separato dal mondo. La fede è partecipazione all’opera di Cristo ed ha un carattere esistenziale. Si esprime come obbedienza estranea all’idea di merito, come accettazione della salvezza gratuita e come predestinazione immutabile. La sottomissione alla volontà di Dio ha come conseguenza non la giustificazione, ma la santificazione. Calvino parla così di elezione: “In Cristo Dio ha eletto l’uomo prima della fondazione del mondo e a Cristo gli uomini devono guardare per conoscere la propria elezione”. L’idea di Chiesa è legata all’elezione ed è comunione universale degli eletti, creata dalla parola di Dio: “Si ha vera Chiesa laddove viene predicata la parola di Dio e vengono amministrati i sacramenti (segni distintivi: notae ecclesiae)”. Giorgio Tourn vede in Calvino il superamento del “sacrum” collettivo della scolastica e il recupero di una ricerca della vocazione della santificazione e dell’obbedienza quotidiana tipica della fede dell’Antico Testamento.

    • I sacramenti.
      Erede della visione sacramentale di Zwingli, Calvino considera i sacramenti segno esterno della benevolenza di Dio nei nostri confronti, strumenti nelle mani di Dio senza virtù salvifica. Il battesimo incorpora a Cristo il credente e corrisponde alla circoncisione. Circa la cena Calvino assume una posizione intermedia fra Lutero e Zwingli, parlando di “trasfusione di sostanza”. Il significato dei sacramenti è la promessa impressa nel segno che conduce a Cristo e l’effetto è l’essere resi partecipi, addirittura integrati nell’opera di salvezza. A differenza di Zwingli, egli riteneva che la cena fosse celebrata ogni domenica.

    • “Istitutio christianae religionis”.
      Il punto di riferimento per le Chiese riformate è l’Istitutio christianae religionis di Calvino, documento di storia di vita, che Calvino per 25 anni ha continuamente riveduto, ampliato e annotato, passando dai primi sei capitoli (1536) agli 80 suddivisi in quattro libri dell’ultima edizione (1559). Questo libro divenne il libro di pietà dei riformati d’Europa e la guida per gli emigranti. Il primo libro tratta della dottrina di Dio con riferimento alla creazione e alla provvidenza. Il secondo si riferisce alla redenzione, in rapporto al peccato originale e alla cristologia. In esso si ritiene l’uomo privo del libero arbitrio e soggetto al male. Il terzo libro sviluppa la dottrina dello Spirito Santo e analizza le dottrine della fede. Il quarto infine parla della Chiesa e della sua vita interna. Data la debolezza dell’uomo, Dio ha voluto dare all’umanità mezzi esteriori e ausiliari, come i sacramenti.
(G. Dal Ferro)